21 settembre: Giornata Mondiale dell'Alzheimer

21 settembre: Giornata Mondiale dell'Alzheimer

21/09/2021



E' necessario creare una coscienza pubblica sugli enormi problemi provocati da questa malattia

Il 21 settembre si celebra la “Giornata Mondiale Alzheimer”, istituita nel 1994 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dall’ Associazione Internazionale Malati di Alzheimer (ADI) che in Italia è rappresentata dalla Federazione Alzheimer Italia.

Il mese di settembre è dedicato alla sensibilizzazione sulla demenza e alla lotta allo stigma che la circonda. Il tema di quest’anno è “Alzheimer: viverlo insieme”.

Secondo l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), al 1° gennaio 2020 vivevano in Italia circa un milione e 100 mila persone affette da demenza, di cui il 60 % con demenza di Alzheimer.

Quasi il 78% di queste persone ha un’età superiore agli 80 anni, e le donne sono in prevalenza con un rapporto di 2,4 donne a 1 uomo.

Questi dati, secondo l’ISS, già di per sé rilevanti, forniscono probabilmente una sottostima della reale frequenza del fenomeno, in quanto gli studi di prevalenza, condotti in uno specifico territorio, molto raramente includono anche persone con demenza istituzionalizzate. Inoltre vi è un’elevata percentuale di casi non diagnosticati.

(Rapporto ISS COVID-19 • n. 61/2020 - Indicazioni ad interim per un appropriato sostegno alle persone con demenza nell’attuale scenario della pandemia di COVID-19).

La malattia prende il nome dal suo scopritore Alois Alzheimer, neurologo tedesco che per la prima volta nel 1907 ne descrisse i sintomi e gli aspetti neuropatologici ed è la forma più comune di demenza senile. Essa colpisce la memoria e le funzioni cognitive, si ripercuote sulla capacità di parlare e di pensare ma può causare anche altri problemi fra cui stati di confusione, cambiamenti di umore e disorientamento spazio temporale. Il decorso della malattia è lento e in media i pazienti possono vivere mediamente, oggi, fino a oltre 10 anni. La diagnosi precoce è molto importante sia perché offre la possibilità di trattare e rallentare alcuni sintomi della malattia, sia perché permette al paziente di pianificare il suo futuro, quando ancora è in grado di prendere decisioni.

L’età rappresenta il fattore di rischio più importante per il decadimento cognitivo.

Secondo la scienza sia il nostro fisico che la nostra mente, nel corso dell’evoluzione, si sono adattati per assicurare la sopravvivenza della specie, e non per prolungare l’aspettativa di vita. I cinquantenni di oggi sono come i neonati dell’Ottocento, e sanno che possono avere altri 30/40 anni di vita!

Oggi l’Alzheimer viene considerata un disordine complessivo che deriva da due fattori:

dalla costituzione genetica e soprattutto dallo stile di vita che può incidere per il 75%.

Molto dipende dalle nostre abitudini, pertanto per molti scienziati è una “semplificazione biologica” ridurre i disturbi della memoria ad una semplice lesione del cervello.

La scienza sta facendo passi da gigante per quanto riguarda la diagnosi di Alzheimer che non è certa. Inoltre, vi è un sostanziale indeterminatezza sull’efficacia dei farmaci, mentre gli interventi non farmacologici (psicosociali e di formazione) migliorano realmente la qualità di vita dei soggetti e dei caregivers. Produrre benessere anche nelle fasi più avanzate della malattia è cruciale e oltre ai farmaci e alle tecniche di riabilitazione cognitiva, rivestono enorme importanza la Terapia Occupazionale, la Musicoterapia, l’Arte -terapia, le tecniche di rilassamento, l’Orto-terapia, la Pet Therapy, e tante altre.

I costi diretti a carico dei sistemi sanitari sono importanti, e gran parte della spesa pubblica ricade sui settori relativi al lavoro e al sociale (vedi anche assenze dal lavoro sia della persona malata che del caregiver, inabilità lavorativa e prepensionamenti).

In Italia, le principali fonti di supporto, sia assistenziale che economico, provengono dalla famiglia e la maggior parte delle persone affette da Alzheimer vengono curate a casa fino a quando è possibile.

I caregivers sono indicati, da svariate ricerche, ad alto rischio di incorrere in problemi di salute fisica e mentale, i cui motivi vanno ricercati nell’impatto fortissimo che la malattia ha sulla loro vita sociale, familiare, lavorativa, sul tempo libero che viene praticamente annullato. Le donne rappresentano circa il 77% dei caregivers. Di queste, moltissime sono lavoratrici attive che devono ingegnarsi tra leggi rigide non adeguate e ruoli spesso contrastanti tra loro:

essere bravi genitori, essere efficienti sul lavoro e assistere i genitori anziani e malati.

Sia i servizi di assistenza domiciliare, sia quelli residenziali e semiresidenziali, specializzati nella cura delle demenze, sono quasi del tutto insufficienti e inappropriati poiché rispondono ancora a vecchi modelli di assistenza e di cura.

Il Piano Nazionale Demenze (PND) – Strategie per la promozione ed il miglioramento della qualità e dell’appropriatezza degli interventi sanitari e assistenziali nel settore delle demenze”, è stato approvato nel 2014 e formulato dal Ministero della Salute insieme alle Regioni, l’Istituto Superiore di Sanità e le tre Associazioni Nazionali dei pazienti e dei familiari.

Il PND, purtroppo è ancora scarsamente applicato ma rappresenta un importante Piano di salute pubblica per quanto riguarda le demenze che occorre rimettere al centro delle nostre rivendicazioni, insieme alla riforma per l’assistenza agli anziani non autosufficienti.

Il PND, insieme al Piano Nazionale di Domiciliarità Integrata, dove si concentrano i maggiori investimenti sociali e sanitari previsti dal PNRR, dovrebbe essere il primo passo della riforma.

Per seguire le iniziative in Italia visita il sito http://www.alzheimer.it/iniziat2021.html